Dicono di me


“L’occhio fotografico” tra ragione e sentimento

Lorenza Donati, nella curiosa ed instancabile attività di fotografa, pare efficacemente esprimere tale significativo concetto. Le immagini dell’Autrice, infatti, riproducono una realtà varia in cui razionalità, colore ed emozione si fondono con sapienza….

È qui, forse, allora, lo “specifico fotografico”, cioè la concezione che Lorenza ha della fotografia: che si parli di percorsi, paesaggi o persone, la Donati, con spiccata sensibilità, riesce a coniugare, come in un quadro, ciò che ci circonda con i complessi ed impalpabili stati emozionali.

Ed è forse questo il segreto delle opere di Lorenza: un nascosto e costante dialogo tra mente ed animo.

Prof.ssa Paola Bonfadini (Consigliere del Museo Nazionale della Fotografia “Cav. Alberto Sorlini” di Brescia, storico dell’arte e saggista)



Lorenza Donati

Nelle figure che si incontrano nelle immagini di Lorenza Donati, la sottile seduzione delle forme, ci avvolge con il suo carico di intimo mistero e di silenziosa presenza. Superfici scolpite con la luce che, nella loro eleganza formale, ci invitano ad un dialogo intenso e discreto con la materia, qualunque essa sia. I contrappunti formali e le line trasmettono l’intima sensibilità di chi sa osservare con attenzione le cose, anche le più imprevedibili o scontate del nostro quotidiano. L’autrice scava, giocando e lasciandosi trasportare dentro una propria e feconda materia visiva, Un silenzio fatto di colore denso ed equilibrato, asciutto e caldo. Composizioni che, come s’intuisce, sono scaturite da un fecondo ed assoluto rapimento emotivo con l’oggetto indagato, che ci giunge riplasmato dalla sensibilità dell’autrice, per offrire un inedito di sé e spingerci all’ascolto.

Per scoprire queste sensazioni occorre affidarsi a ciò che l’autrice propone attraverso questo percorso di esplorazione

Luca Chistè, fotografo e critico



Tracce di Lorenza

Vorrei dire due parole sulle fotografie di questa mostra, che ho avuto occasione di stampare.

Lorenza Donati, appassionata fotografa da molto tempo, presidente del Circolo Fotoamatori della Valle di Ledro negli anni scorsi, ha realizzato parecchie mostre personali in Trentino e fuori e, con queste immagini, si presenta nella sua valle. Come nella rassegna precedente “Non si muore per amore” presentata molti anni fa e che, per il particolare contenuto (violenza sulle donne) continua ad essere proposta in varie località italiane, Lorenza utilizza il mezzo fotografico come metafora per esprimere il proprio stato d’animo.

Allora si trattava di utilizzare una scarpa rossa come simbolo del femminile, in questa mostra si utilizzano immagini diverse per esprimere sensazioni ed emozioni personali. Lo posso confermare perchè alcune di queste fotografie sono state riprese durante viaggi in giro per il mondo, che abbiamo avuto occasione di condividere.

Per lei, l’incontro col leopardo a Serengeti non è stata l’occasione di riportare immagini che avrebbero trovato facile collocazione su National Geographic o simili, ma di recepire la volontà di questo animale di perdersi nascondendosi nella savana. Lo stesso dicasi per l’immagine dell’elefante che si strofina ad una pianta a Tarangire, riassunta nella soddisfazione per la “grattatina” espressa ad occhi chiusi, dallo stesso, oppure dalla curiosità della civetta, perfettamente mimetizzata tra i rami dell’albero. Per concludere con gli animali, la sagra di San Michele in valle, sintetizzata dalla bellissima criniera del puledro…

Potrei continuare, ma voglio ricordare solo un’ultima foto, realizzata da Lorenza una sera, nell’India del Sud: era il crepuscolo in un villaggio indiano ed un bambino, su una terrazza, stava ancora giocando col suo aquilone, alla luce dello spicchio di luna. Sarebbe stato per chiunque un racconto fotografico semplice: per Lorenza no. È stata l’occasione per trarne una composizione musicale, affidandosi ai cavi presenti nel villaggio: una sinfonia per spicchio di luna ed aquilone, suonata al calar del giorno.

Ho voluto accennare solo ad alcune immagini di questa mostra ed al loro significato.

Si tratta di fotografia creativa: questa mostra è una traccia dell’anima dell’autrice espressa con una serie di scatti realizzati in vari contesti per significare il proprio pensiero o la propria emozione: se avrete l’occasione di visitarla assieme a lei potrete meglio rendervene conto.

Giorgio Ceriani, fotografo e collezionista



Mostra “Yo soy un hombre sincero”

Lorenza è una donna che per professione ma anche per sentimento si è sempre occupata dell’universo femminile, delle tematiche che riguardano le donne, ma questa volta ci sorprende e forse lei stessa è rimasta sorpresa dalla curiosità che l’ha spinta verso l’universo maschile.

Tutto nasce da un viaggio a Cuba fatto nel dicembre scorso.

Lorenza è solita documentarsi prima di attraversare quella porta che comunemente chiamiamo viaggio. Legge, si informa, cerca di comprendere la realtà che andrà a conoscere. Una giusta abitudine perché i viaggi non sono semplici ricerche di nuove terre, ma, come diceva Proust, viaggiare significa avere nuovi occhi. E può capitare che, quando si riesce ad avere il giusto sguardo, anche il concetto si rovesci e non siano più le persone a fare i viaggi, ma siano i viaggi a fare le persone, a trasformarle.

Gli occhi di Lorenza l’hanno portata lontana dai consueti binari, niente panorami mozzafiato, niente tramonti infuocati, né ritratti delle splendide donne cubane, ma a farsi guidare è stata la suggestione provocata delle parole di un poeta Josè Martì: “Yo soy un hombre sincero” E seguendo l’eco di quei versi Lorenza ha sentito il desiderio di capire e guardare l’universo maschile, accostarsi ai pensieri e sentimenti degli uomini e vederli con occhi di donna.

Parentesi per ricordare la poesia “Io sono un uomo sincero”, musicata con il titolo di una famosissima canzone “Guantanamera”, è tratta dai Versi semplici di Martí: poeta nato a Cuba nella seconda metà dell’800 quando Cuba era colonia spagnola. Martì lottò, fu imprigionato e morì per la libertà della sua terra e la poesia che molti cantano ignorandone la dimensione politica, allude alla rosa bianca, simbolo dei patrioti che lottavano per l’indipendenza.

Martì, che era chiamato l’apostolo dei poveri del mondo, era un profondo pensatore, basti ricordare una sua frase. Egli scrisse: “Essere colti e’ l’unico modo di essere liberi. senza cultura non c’e’ libertà possibile”.

Nella poesia / canzone “Io sono un uomo sincero” si legge: Coltivo la rosa bianca, in giugno come in gennaio, per l’amico sincero, che mi dà la sua mano franca, E per il crudele che mi strappa, il cuore con cui vivo/ Non coltivo né cardi né ortiche: coltivo la rosa bianca. Io conosco un dispiacere profondo, tra le pene senza nome: la schiavitù degli uomini, è la grande pena del mondo Con i poveri della terra, voglio dividere la mia sorte, / Il ruscello della montagna, mi piace più del mare.

Alla base di questa mostra vi sono dunque 2 elementi che l’hanno provocata: una poesia che è inno di libertà e un viaggio dentro a una terra di forte suggestione. Cuba terra di passioni e assenze. Luogo di dignità e contraddizioni. Di povertà e orgoglio. Quanto di queste contraddizioni ci viene restituito dai volti degli uomini cubani che Lorenza ha immortalato?

Molto a mio parere. Dal silenzioso dialogo che si instaura tra chi fotografa e chi viene fotografato, emerge una realtà di volti e sguardi che trasmettono l’orgoglio di una appartenenza, la fierezza e la forza di un’identità sia essa maschile sia essa cubana e anche la consapevolezza di vivere una terra che è insieme paradiso e povertà.

Curioso poi il gioco tra la donna che scatta la foto e l’uomo che si presta a essere fotografato.

In alcuni sguardi vi è stupore, in altri consapevolezza, in altri ancora pura curiosità, in taluni sfida, ironia, dolcezza… Una umanità maschile che si racconta, al di là della retorica delle immagini a cui siamo abituati, la povertà, la solitudine, le lacrime. No, qui ci sono uomini normali, quelli che incontri per strada, quelli che stanno lavorando e che decidono di regalarti qualcosa di loro. Per un attimo, il tempo di uno scatto, eppure quante cose ci sono dentro a quell’attimo.

Viviamo il tempo dell’immagine, ne siamo travolti e sommersi, ma dinnanzi a foto come queste ci fermiamo.

Perché?

Perché ci narrano una storia, una vita. Raccontano, sogni, speranze, passato e futuro e lo fanno con una intensità emotiva che è proporzionale alla semplicità.

Quello di Lorenza è un occhio che scruta e descrive, indaga e chiede. E i suoi scatti non catturano solo i colori, le luci, i volti, i contesti ma trasferiscono emozioni.

Ci vuole grande sapienza per cogliere l’attimo giusto, perché uno sguardo e un “click” diventino altro. Perché la fotografia non sia solo narrazione del mondo ma trasmetta l’autenticità delle situazioni e delle emozioni e trasferisca queste intensità a chi quel momento non lo ha vissuto, a chi non era presente in quel luogo, a quell’incontro.

Ci vuole grande sensibilità per trattenere il nocciolo delle cose, l’anima vera di un istante e fermarla dentro una composizione di luminosità e armonia. E ci vuole anche etica e pudore per catturare con rispetto la vita degli altri.

Infine ci vuole lievità per cogliere l’essenza di una persona, la sua zona d’ombra, il suo intimo per poi tradurlo in fotografia e donarlo allo sguardo di chi vuole guardare e sa vedere. Per far questo serve capacità di ascolto di sé e del mondo.

E arriviamo alla fine di questo viaggio per tornare agli inizi, al titolo di questa mostra e chiederci se i volti di questi uomini sono volti di uomini sinceri.

È un interrogativo impegnativo.

Sinceri nel porsi dinnanzi all’obbiettivo fotografico di una donna? Sinceri perché hanno lasciato trapelare qualcosa di sé? Sinceri perché stringono in cuore il sogno di una rosa bianca come diceva Martì?

Patrizia Belli